Shift/Rue Du Commerce di Virginia Ryan

Virginia Ryan  dal 24/09/2013 al 08/10/2013

  Roma (RM)


Shift/Rue Du Commerce di Virginia Ryan
Appropriazione, identità e ibridazione: intorno a questi concetti ruota il lavoro di Virginia Ryan Shift/Rue du Commerce che interpreta, con uno sguardo occidentale, significati e simbologie che s’intrecciano nei coloratissimi pagne (tessuti wax printed) utilizzati in Africa Occidentale.
Fondamentalmente è una storia al femminile quella che riguarda questi tessuti, che sono delle vere e proprie mappature semiotiche in cui l’ornamento è solo l’aspetto più evidente di un metalinguaggio iconografico che investe tutto un mondo di sogni, speranze, ambizione, potere.
E’ una storia al femminile non solo perché con i pagne si confezionano gli abiti (copricapi inclusi) che rendono regali le donne africane anche nella loro quotidianità, ma perché sono state proprio donne come la togolese Nana Benz a creare un vero impero economico implementando la diffusione del wax printed anche oltre i confini nazionali.
A portare per primo nel mondo dell’arte contemporanea la storia di questi tessuti che non sono affatto africani, ma provengono dalla lontana Indonesia che ha un’antica tradizione nella produzione e nell’uso dei batik per sarong e altri indumenti - è stato l’artista anglo-nigeriano Yinka Shonibare, MBE che, con ironia, ne ha interpretato l’ibridazione e, in certo senso, il disorientamento derivato dalla considerazione che si tratta di prodotti di una colonizzazione, in termini non solo politici ma anche culturali. Potenze europee come l’Olanda prima, e a seguire la corona britannica, si appropriarono già nella seconda metà del XIX secolo delle tecniche indonesiane che adottarono come catalizzatore per le loro industrie tessili, e poi esportarle nei paesi dell’Africa Occidentale in forma di prodotti che sono finiti sui banchi dei mercati. Esattamente quei tessuti che oggi conosciamo come “africani”.
Anche in Shift/Rue du Commerce ritroviamo un forte collegamento con la storia del wax printed, ma più che in chiave ironica nello sguardo dell’artista australiana c’è il tentativo inconscio di mettere ordine nella visione caotica dell’Africa, seguendo il richiamo dei segni primordiali che appartengono anche alla cultura aborigena della sua terra d’origine.
L’opera è concepita come un dialogo giocato sull’ambiguità che è prima di tutto linguistica: shift è una parola inglese che vuol dire “spostamento”, ma implica anche altri significati tra cui “tubino”, l’abito femminile creato da Coco Chanel negli anni Venti, tuttora indumento cult.
La seconda parte del titolo Rue du Commerce, invece, ha una precisa collocazione geografica, ma allo stesso tempo rimanda ai significati a cui allude più esplicitamente la parola shift.

Rue du Commerce nasce, in particolare, dall’azione del camminare unita allo sguardo filtrato attraverso l’inquadratura fotografica. Passeggiando nell’elegante via della zona Plateau di Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, Virginia Ryan fotografa i pagne africani esposti nei negozi.
“Riguardando quelle foto sullo schermo del computer, dove l’immagine appare più piatta, ho avuto una visione separata da quella reale.” – spiega l’artista – “Immagini autonome che ho voluto provare a trasformare in pittura sulla tela. Ho trovato quest’idea molto armoniosa con il concetto di riconciliazione che c’è in questo momento in Costa d’Avorio, soprattutto dopo la guerra dello scorso anno. Mi è venuto in mente il pensiero aristotelico del tutto che è più dell’accumulo delle varie parti. Un pensiero che è in sintonia con il negoziare le frontiere, trovare la totalità con tante unità separate. Quanto al titolo non indica solo la via di Abidjan, ma si ricollega anche ad un’idea di strada del commercio, in cui si rintraccia la storia stessa dei ‘pagne’, batik originari dell’Indonesia, portati in Olanda e da lì sulle coste dell’Africa Occidentale. Per cui c’è una storia di commercio e di desiderio della bellezza. Tra l’altro il pagne, al giorno d’oggi sta diventando oggetto del desiderio anche per i non africani e fuori dal continente africano. Anche questo è un sintomo di globalizzazione, ma in maniera molto fluida”.

La dislocazione spazio-temporale coinvolge i pagne in tutto il loro potere mediatico. Ryan sceglie di utilizzare anche i cosiddetti pagne religiosi per cucire i tubini. Si tratta di pagne che possono commemorare una particolare ricorrenza legata alla religione cristiano-cattolica, praticata da gran parte della popolazione della Costa d’Avorio, o semplicemente esprimono la devozione della persona che li indossa verso quella specifica figura di santo o Madonna, insomma una sorta di ex-voto indossabile.
Nell’utilizzare il tubino c’è un ulteriore ribaltamento metaforico: non si tratta solo di stile e moda, il tubino è forse l’indumento più popolare a partire dalla fine degli anni Cinquanta, raggiungendo l’apoteosi di semplicità ed eleganza nella formula black e superchic disegnata da Hubert de Givenchy per Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (1962). E’ tutt’altro che casuale il riferimento agli anni ’60, perché i vari paesi dell’Africa Occidentale francofona proclamano l’indipendenza in questo periodo storico. L’abito - il tubino - realizzato in tessuto africano simboleggia così anche la conquista dell’indipendenza.
L’assenza fisica del corpo, nell’installazione Shift, si confronta infine con le presenze femminili che popolano le grandi tele dipinte di Rue du Commerce. Una ricerca estetica della bellezza in cui il pattern supera i confini di puro ornamento.

Manuela De Leonardis




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